Il problema della libertà d’insegnamento in Italia

«La Libertà», Perugia, 13 ottobre 1959, pp. 4-5.

IL PROBLEMA DELLA LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO IN ITALIA

La situazione della scuola e la particolare maniera con cui si pone il problema della libertà d’insegnamento in Italia non possono essere rettamente compresi senza tener conto del fatto fondamentale che in Italia le scuole private sono in grandissima prevalenza scuole gestite da ordini religiosi e che il potere della Chiesa è nel nostro paese eccezionalmente massiccio, assicurato com’è dal Concordato stipulato dal regime fascista (e confermato purtroppo nella Costituzione repubblicana).

Solo chi non conoscesse tale concreta situazione potrebbe dunque farsi attrarre dagli attacchi di parte clericale contro il monopolio statale della scuola, dalle richieste da parte clericale di contributi statali alle scuole private in nome della libertà d’insegnamento e in forza del principio sancito nell’art. 33 della carta costituzionale.

È proprio sulla reale portata di questo principio e sulle sue reali possibilità di applicazione in Italia che io desidero soffermarmi in questo breve articolo.

La scuola in cui si può attuare una libera formazione dei giovani, la scuola che ha le maggiori garanzie di essere libera (anche se, come poi dirò, anch’essa può venire insidiata e privata del suo carattere di libertà quando al governo dello Stato si stabiliscano partiti antiliberali e antidemocratici) è la scuola pubblica. Cioè la scuola in cui tutti i giovani possono essere ammessi senza certificati di fede religiosa o tessere di partito; la scuola in cui il merito dei discenti e dei docenti è misurato soltanto in base alla loro buona fede e alle loro effettive capacità; la scuola che un grande socialista di indubbia fede democratica, Filippo Turati, chiamava «campo aperto a tutte le concezioni della vita» e considerava come anzitutto caratterizzata dal «rispetto incondizionato della libertà di coscienza». In tale scuola, prima della dittatura fascista che corruppe e contaminò ogni strumento educativo e negò le ragioni stesse della cultura e dell’educazione, gli italiani avevano trovato (pur nelle destinazioni e distinzioni classiste che solo una trasformazione sociale e politica potranno effettivamente abolire) una possibilità di formazione libera, in cui le singole inclinazioni e lo sviluppo dei giovani in diverse direzioni ideologiche potevano trovare conforto e stimolo nel contatto e nel dialogo con giovani di diversi orientamenti, con insegnanti di diverso indirizzo.

Si può affermare che una simile garanzia di libertà, di libera formazione venga offerta dalla scuola privata, cosí come essa esiste e può esistere in Italia? Ché (a parte scuole private sorte non con scopi educativi, ma con scopi di lucro, dirette a raccogliere i giovani bocciati nelle scuole pubbliche e a dar loro una preparazione solo in vista di un piú facile conseguimento di diplomi) in Italia esistono e possono esistere, anzitutto per chiare ragioni economiche, solo scuole private confessionali il cui scopo preciso e ovvio è una formazione chiusa, ispirata ad una concezione dogmatica che considera errore ogni diversa concezione, che nega la validità del dialogo e la fecondità dei contrasti ideologici.

Dove finisce in quelle scuole la libertà d’insegnamento sia per il discente che per il docente? Come possono onestamente affermare i polemisti clericali di battersi per il principio della libertà se si vuol mantenere alle parole il loro vero e profondo significato?

E del resto si pensi solo al fatto che non solo nel passato la Chiesa ha tenacemente avversato, quando aveva il monopolio dell’istruzione, il principio che adesso intende utilizzare a scopo illiberale, ma che là dove, come in Spagna, la situazione politica glielo consente, si guarda bene dal rifiutare l’esclusiva di un insegnamento rigidamente cattolico in nome della libertà per tutti di avere una libera formazione.

In realtà, alla Chiesa preme di esercitare il suo unico e dogmatico insegnamento e quando è costretta a chiarire il suo pensiero scolastico tutte le dichiarazioni autorevoli, dalle encicliche papali alle prese di posizione della «Civiltà cattolica», la rivista dei gesuiti, concordano nel proclamare che «la verità è una sola e solo ad essa spetta di comparire nell’insegnamento» e che (secondo un’enciclica di Pio XI) «dal momento che Dio si è rivelato nella religione cristiana, non vi può essere nessuna perfetta educazione se non quella cattolica».

Stando cosí le cose si può ben capire come i democratici italiani, a qualunque partito appartengano, abbiano lottato e lottino in difesa della scuola pubblica e abbiano tenacemente negato, nella formazione degli articoli costituzionali riguardanti la scuola, e poi nell’interpretazione di quegli articoli, ogni forma di sovvenzione da parte dello Stato alle scuole private, cioè confessionali, che già attuano una spregiudicata concorrenza alla scuola di tutti, non sul piano di una migliore validità di insegnamento, ma in forza dei loro potenti mezzi finanziari e con i mezzi antieducativi di facilitazione nel conseguimento dei diplomi: e quindi con il risultato di un effettivo abbassamento culturale di larghe parti della popolazione.

E mentre da una parte i polemisti clericali sottolineano gli scarsi mezzi di cui dispone la scuola pubblica per dimostrare la necessità che essa venga integrata nei suoi compiti dalla scuola privata, contemporaneamente essi tendono a diminuire ancor piú le possibilità della scuola pubblica stornando parte dei fondi di cui la dota lo Stato, verso le scuole private. Alle quali i democratici italiani non vogliono certo negare il diritto di esistenza (anche se convinti che nella coincidenza di scuole private e scuole confessionali si viene ad affermare una particolare libertà di educazione chiusa e antieducativa), ma intendono certo negare il diritto di sottrarre mezzi alla scuola pubblica e di ridurre questa in situazione di inferiorità proprio mediante l’opera dello Stato che a mantenere in efficienza la scuola pubblica, libera, democratica, è tenuto proprio in quanto, se democratico, è fondato sulle ragioni stesse che motivano la libera educazione: non certo perché debba imporre un «insegnamento di Stato», una «dottrina di Stato». E sia chiaro che, alla dicitura scuola di Stato, chi scrive preferisce quella di scuola pubblica cosí come ben avverte i limiti stessi dello Stato e lo considera forma imperfetta di una piú diretta e autentica forma di autogoverno. Ma tale è l’attuale situazione storica italiana ed è in essa, e in rapporto alle possibilità di sviluppo democratico sempre piú effettivo, che qui si afferma la pratica identità di scuola libera e di scuola pubblica contro la scuola privata confessionale.

Purtroppo l’assalto che i clericali danno alla scuola italiana non si limita alla concorrenza della scuola confessionale e al suo favoreggiamento da parte del governo democristiano; ché esso si precisa in forme spesso anche piú insidiose incrinando la libertà d’insegnamento con sempre piú insistenti interventi governativi, con la coartazione dei metodi stessi d’insegnamento, con limitazioni dei programmi, e con tutta una sottile opera di controllo da parte della burocrazia ministeriale e periferica sugli insegnanti e sulla loro libertà di opinione e di espressione nella scuola; mentre si comprime lo slancio democratico e l’impulso delle piú moderne teorie pedagogiche rendendo sempre piú pesante il governo burocratico della scuola.

E si dovrà insomma concludere che mai come adesso, se non sotto la dittatura fascista (tanto piú rozza ed ingenua però) la scuola italiana e la libertà d’insegnamento sono stati posti a piú dura prova. Con una contraddizione cosí evidente fra tale situazione e i fermenti maturi di una coscienza democratica e antidogmatica nella piú autentica cultura italiana e nelle zone piú fresche e genuine della popolazione, che al pessimismo immediato si contrappongono non solo un fortissimo impegno di azione, ma anche la legittima speranza di un futuro ben diverso e non troppo lontano.